US OPEN : Due semfinali dal sapore diverso

da www.federtennis.it

(Foto Brigitte Grassotti)

Due debuttanti al tavolo delle semifinali (a livello Slam), chiamati a giocarsi una storica prima volta, e due tennisti invece che hanno già vinto il titolo, proprio a New York. Ecco le due facce (a dire il vero un po’ insolite) del penultimo atto del torneo maschile degli US Open, quarto e ultimo Major stagionale, in dirittura d’arrivo sui campi in cemento di Flushing Meadows dopo due settimane intense e non senza sorprese.

CARRENO BUSTA-ANDERSON PER UNA STORICA PRIMA FINALE SLAM – Pablo Carreno Busta e Kevin Anderson sono dunque i due nomi emersi nella parte bassa del tabellone, quella che per motivi vari, ma soprattutto per il forfait post sorteggio di Andy Murray, seconda testa di serie, e per i passaggi a vuoto di altri aspiranti big come Sascha Zverev, numero 6 della classifica mondiale e 4 del seeding, e Marin Cilic, numero 7 Atp e 5 del torneo, spostato però – come da regolamento Slam – alla riga 128, che sarebbe spettata allo scozzese, si è man mano svuotata di top player, aprendosi a scenari e prospettive inedite. Ha saputo cogliere al balzo l’opportunità il 26enne spagnolo, numero 19 del ranking mondiale e 12esima testa di serie, che già al Roland Garros era approdato ai quarti, dove però si era dovuto ritirare dopo pochi game contro il connazionale Rafa Nadal per un infortunio ai muscoli addominali, che lo ha costretto a saltare il resto dei tornei sulla terra e poi Wimbledon: Carreno Busta ha messo in fila quattro giocatori provenienti dalle qualificazioni – cosa mai accaduta prima in uno Slam -, tra i quali però un certo Denis Shapovalov, in vertiginosa crescita, uno dei Next Gen destinato a recitare un ruolo di rilievo su questi prestigiosi palcoscenici), e poi nei quarti un altro outisider l’argentino Diego Schwartzman, numero 33 Atp e 29esima testa di serie, un po’ acciaccato per un problema alla coscia, il tutto senza cedere un set, 15 vinti insomma e nessuno perso. Un percorso netto che consentirà al giocatore di Gijon, cresciuto nell’Accademia di Juan Carlos Ferrero, di entrare da lunedì prossimo per la prima volta nella top ten, con buonissime chance di qualificarsi anche per il Masters di fine anno a Londra.
Dal canto suo Kevin Anderson con il suo exploit ha riportato il Sudafrica nella geografia del tennis che conta: l’ultimo suo connazionale a raggiungere una semifinale Slam era stato Wayne Ferreira, nel 2003 agli Australian Open, mentre bisogna tornare indietro di oltre mezzo secolo per trovarne uno fra i ‘best 4’ nella Grande Mela, vale a dire Cliff Drysdale nel 1965. Ecco, probabilmente, perché il 31enne di Johannesburg, prima di questo torneo numero 32 Atp e 28 del seeding, ha detto con un sorriso estasiato dopo aver sconfitto nei quarti il padrone di casa Sam Querrey, numero 21 del ranking e 17esima testa di serie, nonché semifinalista all’ultimo Wimbledon: “E’ una sensazione fantastica, ho lavorato duro per raggiungere un obiettivo del genere nella mia carriera e ora voglio godermelo almeno un giorno prima di pensare alla semifinale…”, guardando per un attimo la luna sul cielo di New York. Dove nel 2015 il gigante sudafricano (2 metri e 3 centimetri di altezza) era arrivato fino ai quarti, per poi sullo slancio issarsi in ottobre al numero 10 della classifica mondiale (suo best ranking), prima che un paio di stagioni costellate dagli infortuni lo facessero precipitare all’indietro. Stavolta ha saputo fare ancora meglio il longilineo Kevin, che aveva mandato già segnali importanti con la finale centrata il mese scorso al torneo di Washington, fermato solo da Sascha Zverev. Non a caso, con i suoi ace e la sua potenza ha sconfitto in tre set JC Aragone (la sua storia personale andrebbe presa ad esempio…), Ernest Gulbis e Borna Coric nell’ordine, soffrendo poi contro un coriaceo e indomito Paolo Lorenzi, domato in 4 set (vicino al portarlo al 5°) come poi Querrey ai quarti.
Una prima semifinale Slam in cui Anderson, numeri alla mano, può addirittura partire con i favori del pronostico essendosi aggiudicato i due testa a testa disputati con Carreno Busta: il più recente appena qualche settimana fa, nel ‘1000’ di Montreal (63 76), dopo quello vinto nel 2013 sulla terra di Casablanca (63 63).

NADAL-DEL POTRO: DOVE ERAVAMO RIMASTI? – Si sono invece affrontati ben 13 volte Rafa Nadal e Juan Martin Del Potro e il bilancio vede lo spagnolo in vantaggio per 8 a 5, però l’argentino si è imposto negli ultimi due confronti diretti: un anno fa nella semifinale delle Olimpiadi di Rio (57 64 76) e in precedenza nella semifinale del ‘1000’ di Shanghai 2013 (62 64), senza trascurare ovviamente l’affermazione con un periodico 62 nel penultimo atto degli US Open 2009, quelli che videro trionfare la Torre di Tandil, interrompendo l’egemonia di King Roger Federer. Da allora, tuttavia, sono passati otto anni e vari infortuni e operazioni ai polsi di Palito, come lui ama spesso ricordare. Inconvenienti che hanno dato alla carriera di Delpo, attualmente numero 28 Atp e 24esima testa di serie in questo torneo, un’impronta diversa da quella che tanti prefiguravano, forse lui per primo. Dopo gli acuti dello scorso anno, in primis l’argento a Rio e la conquista della Coppa Davis (ma pure i quarti nella Grande Mela da numero 142 Atp), il suo 2017 non è stato pari alle attese: semifinale a Delray Beach e quarti agli Internazionali BNL d’Italia di Roma erano i migliori risultati prima di New York, ormai la sua seconda casa. Le vittorie su Thiem (cancellando due match point) e Federer possono davvero far scoccare dentro l’argentino la giusta scintilla, per provare a scrivere un’impresa e regalarsi magari una seconda vita sportiva considerando che compirà 29 anni il 23 settembre e che gli over 30 vanno per la maggiore nel circuito, Next Gen permettendo.
D’altro canto, ora che non dovrà più mettere in palio il trono ritrovato in una sfida da tutto per tutto con il fuoriclasse di Basilea (il primo confronto tra le due icone del tennis deve attendere ancora), anche Nadal può approcciarsi a questo incrocio con un po’ di tensione in meno, ben sapendo però quali insidie lo attendono nel diritto potentissimo dell’argentino. “Voglio dimostrare a New York perché sono tornato numero uno”, aveva detto il maiorchino, quasi a mo’ di promessa, dopo le non convincenti apparizioni precedenti sul cemento americano, motivato a dimostrare di non essere solo il re della terra. E’ cresciuto partita dopo partita, Rafa, dopo qualche titubanza iniziale (non dimentichiamo però che l’esordio con Lajovic era sotto il tetto e che poi contro Daniel era in sessione serale, due situazioni che non gradisce al massimo) e nella seconda settimana ad avversari potenzialmente temibili contro Dolgopolov e Rublev ha impartito delle autentiche lezioni, spazzandoli via senza concedere loro alcuna chance. E’ stato solido anche nei fondamentali meno “forti” di solito del suo tennis, ovvero servizio e rovescio, il dieci volte trionfatore del Roland Garros (ora sono 15 i trofei Slam nella sua bacheca), andato in doppia cifra quest’anno anche a Montecarlo e Barcellona, e sa che occorrerà ripetersi su quei livelli contro Del Potro per non subirne troppo l’aggressività. Con il suo 51esimo match vinto nella Grande Mela il maiorchino è tornato in semifinale dopo quattro anni, da quell’edizione 2013 in cui poi aveva alzato il trofeo, bissando il trionfo del 2010. E anche in quei casi era numero 1 della classifica mondiale e del tabellone. Com’è che dice quel proverbio? (693)

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