Divinità calcistiche e il tennis “alla viva il parroco”

Mentre la Provincia di Grosseto, con una scelta atroce, ha dato in concessione l’area di utilizzo delle scuole (quattro istituiti superiori) ad una piccola entità privata dal nome Csen è sempre più evidente che il tennis italiano viene sempre di più sacrificato sull’altare del dio calcio, con conseguenze annichilenti. La ristrettezza politica e gestionale dell’associazione e dell’amministrazione si sono subito rese palesi con la riduzione delle offerte formative sportive. Quattro campi da tennis sono stati eliminati e l’unico rimasto è in condizioni tali da non poter essere utilizzato attualmente. Al loro posto si erge, a totem divinatorio, un enorme campo da calcio o “calciotto” come certi trogloditi del lessico chiamano una specialità del gioco a colpi di piede da giocare otto contro otto. Prima si poteva imparare sia il calcio che il tennis, oggi, ai ragazzi del liceo scientifico, dell’istituto agrario, di quello professionale e del geometri verrà chiesto di inchinarsi alla divinità monoteistica le cui qualità educative sono su tutti i giornali e variano dalla coltellata alla bomba carta. Gli annebbiamenti causati dalla fede sono agghiaccianti.

Inutile rimarcare che su quei campi hanno imparato a giocare e sono cresciute intere generazioni di tennisti della provincia di Grosseto: erano lì dagli anni settanta. Sono stati calpestati da centinaia di migliaia di piedi, hanno visto rimbalzare i colpi dei più bravi e dei meno capaci, ma tutti lì hanno imparato a rincorrere una pallina, prima bianca e poi gialla, a stringere i denti, a costruire un punto, a imbastire una tattica, a imparare una tecnica infinitamente più complessa di quella che si limita a colpire un pallone con un piede. Tra i più bravi c’è stato anche Giuseppe Polidori che nel 2006 vinse, con la propria squadra, la medaglia d’argento ai campionati mondiali di Brasilia, categoria quad. Ebbi la fortuna di allenarlo e prepararlo per l’evento, in quegli anni, insieme ad altri ragazzi, che, anche se non sono diventati dei campioni, hanno avuto, spero, stimoli e piaceri di vita che forse pensavano di non riprovare. Già perché in quei campi si poteva entrare anche con le carrozzine e si poteva praticare in tutta sicurezza il tennis in carrozzina. Oggi non più, grazie a questa nuova gestione politica e amministrativa miope ed inefficiente, solo per usare un eufemismo.

Gli eventi che accadono in un piccolo cortile possono sembrare di lieve entità ma non di rado riflettono condizioni e mentalità diffuse. L’arroganza, la volontà di imposizione, il potere fine a se stesso esercitato con protervia, la fretta, la superficialità sono tutte condizioni che mal si addicono a un tennista e forse se mancano grandi campioni dagli anni ’70 in grado di vincere una prova del Grande Slam, l’ultimo è stato Adriano Panatta nel 1976 un po’ è dovuto anche al fatto che certe particolarità sono frequenti nella popolazione italiana. Come quella di sacrificarsi ad una sola entità illusoria, che sia il calcio o una divinità.

Il tennis ha bisogno di concentrazione, dedizione, cura della tecnica, pazienza, progettualità, costruzione graduale e finalizzata. Tutto lo sforzo fisico è finalizzato per una gestione complessa dell’azione fisica e psichica da distribuire in un arco lungo di tempo ed a cui il giocatore non può sottrarsi perché è solo. Solo a rincorrere una sfuggente pallina gialla, a destra e a sinistra, in alto e in basso, avanti e indietro, in diagonale. Alcuni punti sono più importanti di altri, è necessario saper distinguere.

Il tennis non può essere giocato “alla viva il parroco”, rinviando come capita per liberare l’area di rigore o perdere tempo, così tanto per fare, perché non è uno sport a tempo, è a punteggio. Si è costretti a giocare, non ci può sottrarre alle proprie responsabilità senza perdere, o sperando in un pareggio, una volta che si è scesi in campo. “Alla viva il parroco”, nell’Italia di oggi, forse si può amministrare una città, un ente pubblico e pare anche, in certe condizioni, l’intero paese. Così tanto per fare, senza un progetto, un’idea, solo per rinviare, per liberare un’area affollata, ingannare il tempo. Il Roland Garros al contrario si può vincere solo un punto immanente alla volta. Colpo dopo colpo. Scegliendo come distribuire le forze. Con la pazienza di iniziare di nuovo daccapo tutte le volte che si commette un errore, prendendone coscienza, senza finzioni verso se stessi. Se l’ultimo slam lo si deve ad Adriano Panatta e gli altri al mezzo oriundo Nicola Pietrangeli forse è opportuno indagare anche la natura caratteriale degli italiani, oltre che quella fisica.

Mi scuso con Francesca Schiavone, vittoria al Roland Garros 2010, ma essendo di genere femminile la ritengo di una categoria diversa e superiore alla cultura tipica dell’affermazione da testosterone. (1224)

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