Roland Garros 2016: speriamo in Nishikori. Yes he can

Questo tennis in fondo non mi affascina più di tanto. Si finisce per vedere gli stessi giocatori e per scrivere le stesse cose. Come scrive giustamente Ubaldo Scanagatta è sempre più difficile entrare nei primi cento e di conseguenza è sempre più difficile uscirne. È un tennis in cui i giocatori si riducono e gli spettatori aumentano. Per gli affari probabilmente è meglio così ma l’organizzazione mondiale per la sanità si lamenta giustamente che l’obesità rappresenta uno dei maggiori problemi di salute nel mondo. Qualcuno dovrebbe farlo presente all’ITF.

Nel frattempo, con molta probabilità i protagonisti di questo Roland Garros rischiano di essere gli stessi, con l’esclusione di Roger Federer che nonostante senta il peso dell’età dovrà attendere molto per uscire dai primi cento.

C’è il caro Nadal che cerca la decima vittoria; Novak Djokovic che vorrebbe vincere la coppa dei moschettieri per la prima volta e lanciarsi nell’ardua impresa di realizzare un Grande Slam (più di 40 anni dopo l’ultimo di Rod Laver). Quante volte l’avete letto? Quante volte è stato scritto?

Andy Murray sembrerebbe in forma dopo la vittoria di Roma e gioca sempre meglio sulla terra battuta. Poi ci sono gli outsider, perché questo gioco è ormai una battaglia tra quattro o cinque giocatori con qualche rara introduzione. Se togliamo Wawrinka, che vinse lo scorso anno qui a Parigi e nel 2014 in Australia, lo Us Open dello sfortunato del Potro nel 2009 e quello particolare di Marin Cilic nel 2014 per trovare uno slam che non sia stato Vinto da Federer, Nadal, Djokovic o Murray è necessario risalire alla vittoria di Gaston Gaudio nel 2004 al Roland Garros. Non vanno meglio le cose allo Australian Open: dove l’unico estraneo dal gruppo di amici della parrocchietta a vincere fu Marat Safin nel lontano 2005. Ben 11 anni fa.

La situazione è ancora peggiore a Wimbledon dove in un era geologica molto lontana si narra che vinse Lleyton Hewitt. Era il 2002. Per il resto ripetizioni, a non finire, con l’esclusione, appunto di due slam cadauno per Wawrinka e Murray e uno per Del Potro e Cilic. In tutto sei slam su un totale di quarantasei se non ho contato male. Quarantasei tornei per sette giocatori di cui quattro di questi ne hanno vinti solo sei in totale fra di loro (Murray, Wawrinka, Del Potro, Cilic). Per nome diverso allo Us Open è necessario risalire al 2003: la vittoria di Adny Roddick su Juan Carlos Ferrero.

E non si vede niente all’orizzonte, o molto poco. È la biodiversità che avanza.

Nemmeno il gioco appare variato. Si è standardizzato su scambi da fondo sempre più ritmici e potenti con l’esclusione di qualche palla corta, anch’essa ormai sempre più prevedibile all’interno degli schemi perché giocata quando l’avversario è stato spostato fuori dal campo in profondità.

Così oltre ai giocatori sono spariti i colpi. In realtà prima sono spariti i colpi, ovvero la possibilità giocare soluzioni di volo, e di conseguenza si è ridotto il numero di giocatori. Perché chi non vince, almeno una volta ogni tanto, almeno un po’ più spesso, prima o poi smette, a meno che non sia un frate benedettino o un seguace di Jacopone da Todi e porti con disinvoltura il cilicio del “vado in campo per perdere, qualcuno deve pur perdere. Sarà dovuto a una volontà divina il fatto che perdo così tanto e spesso. D’altronde è grazie a dio che un campione è campione”. Amen.

Se si fa di tutto per rendere un gioco molto fisico le probabilità che riesca a giocare solo chi possiede un certo tipo di caratteristiche fisiche aumenta, e se queste caratteristiche sono rare i giocatori sono pochi.

Non rimane che sperare in Nishikori. Sarebbe l’ora vincesse un giapponese di un metro e settantotto. Paese dove l’altezza media è un metro e settantuno. Con le quote di oggi la Sani lo da 25 a 1, Gazzabet a 19, Betclic a 18. L’importante è crederci. Yes he can. (812)

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